INTRODUZIONE

I carcinomi della tiroide rappresentano l’1% di tutte le neoplasie maligne umane e costituiscono lo 0,5% circa dei cancri nel sesso maschile e l’1,5% in quello femminile. Di questi almeno il 94% sono carcinomi tiroidei differenziati derivanti dalle cellule follicolari, suddivisi in carcinomi di istotipo papillare (più del 90% dei casi) e di istotipo follicolare (rimanenti). Un altro 5% sono carcinomi midollari della tiroide derivanti dalle cellule C o parafollicolari della ghiandola. Infine il restante 1% sono carcinomi anaplastici che generalmente derivano dalla perdita di differenziazione dei carcinomi papillari e follicolari e che appartengono al gruppo di tumori solidi umani più aggressivi. L’incidenza dei carcinomi tiroidei nei paesi occidentali è stimata attestarsi sui 4-6 nuovi casi per 100.000 abitanti/anno. In particolare in Umbria dal Registro Tumori Umbro di Popolazione per gli anni 1997-1999 si evince una incidenza dei carcinomi della tiroide pari a 5,2 nuovi casi/100.000 maschi/anno e a 10,6 nuovi casi/100.000 femmine/anno (Registro Tumori Umbro di Popolazione, Perugia 2003). Questi dati, superiori a quanto si rileva in altre aree geografiche, sia nazionali che europee, potrebbe essere in correlazione con la presenza nella nostra regione di particolari condizioni ambientali che favoriscono lo sviluppo delle neoplasie della tiroide, tra cui la carenza iodica ed il conseguente stimolo proliferativo cronico sulla ghiandola (gozzo endemico) e l’esistenza di zone, quali quella di Orvieto, caratterizzate da un livello di radiazioni basali superiori alla norma, legate alla presenza di radionuclidi naturali nel terreno. La mortalità annua per cancro della tiroide per 100.000 persone è compresa generalmente tra 0,2 e 1,2 nei maschi e tra 0,4 e 2,8 nelle femmine. In Umbria essa si è attestata negli anni 1997-1999 su 1,2 decessi ogni 100.000/maschi/anno e su 0,8 decessi ogni 100.000/femmine/anno (Registro Tumori Umbro di Popolazione, Perugia 2003), valori nuovamente lievemente superiore a quelli della media nazionale ed europea. Anche per questo dato può essere chiamato in causa il problema della carenza iodica e della persistenza nella nostra regione di aree geografiche dove il problema è ancora urgente. E’ infatti ampiamente dimostrato che la carenza iodica è associata ad una prevalenza più elevata di carcinomi follicolari che di per se sono più aggressivi e soprattutto caratterizzati, se non riconosciuti e trattati precocemente, da una più diretta evoluzione verso forme neoplastiche poco differenziate o francamente indifferenziate a prognosi peggiore.
In generale dal punto di vista clinico sia i dati della letteratura, che dati preliminari raccolti in Umbria negli ultimi anni, indicano che sostanzialmente è possibile distinguere 3 gruppi di soggetti nell’ambito di quelli affetti da carcinoma tiroideo. Il gruppo più cospicuo (70-80%) è rappresentato da pazienti con malattia confinata alla tiroide, generalmente N0 o N1 limitato, di istotipo ben differenziato, sottoposti ad interventi chirurgici radicali e trattati con terapia radioablativa, che risultano completamente guariti al primo follow-up e restano in remissione ai controlli successivi. Il secondo (10-15%) è rappresentato da pazienti con malattia confinata a livello loco-regionale, spesso N1, non trattati o non trattabili con chirurgia radicale, con alle spalle una o più terapie radiometaboliche (ad indicare una verosimile resistenza allo 131I), che evidenziano persistenza di malattia o recidiva anche a distanza di molti anni. Il terzo (10-15%) è rappresentato da pazienti ad alto rischio, cioè con metastasi a distanza, incompleta asportazione del tumore, recidiva nella loggia tiroidea o nei tessuti molli del collo e caratterizzati da neoplasie di istotipo aggressivo tipo la variante a cellule alte del carcinoma papillare, carcinomi follicolari estensivamente invasivi, carcinomi midollari a diffusione extratiroidea, carcinomi poco differenziati o completamente indifferenziati, che sono destinati a soccombere alla malattia dopo periodi più o meno lunghi (da 6 mesi a oltre 10 anni) di progressiva evoluzione del quadro, fortemente resistente alle terapie messe in atto. Tipicamente si tratta di soggetti di età più avanzata, anche se qualche eccezione esiste, ad indicare che probabilmente si tratta di neoplasie rimaste in sede per un lungo tempo che ne ha permesso la perdita di differenziazione ed il guadagno di aggressività. Una diagnosi precoce dei tumori tiroidei potrebbe probabilmente ridurre l’incidenza di questi casi più “virulenti”.
In conclusione, sebbene vi sia un numero elevato di soggetti affetti da carcinoma tiroideo a bassissimo rischio, che guariscono in modo permanente dopo il trattamento chirurgico e ablativo iniziale, e che conferiscono in generale la percezione che le neoplasie tiroidee siano malattie con scarso impatto sulla qualità di vita e sulla sopravvivenza, questi dati chiaramente indicano che esiste anche una seconda faccia della medaglia, caratterizzata da una percentuale non trascurabile di soggetti (25-30%) a rischio di doversi confrontare con recidive della malattia nel corso della loro esistenza e addirittura di soccombere alla stessa.

Al momento attuale in Umbria vi sono diversi poli sanitari dove vengono erogate prestazioni mediche e chirurgiche volte alla diagnosi e cura delle malattie tiroidee. Tra queste le principali sono l’Azienda Ospedaliera di Perugia, l’Azienda Ospedaliera di Terni e, nell’ambito dell’Azienda Sanitaria Locale N° 1, il Centro Salute e l’Ospedale di Gubbio. Il Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Perugia, con le sue sezioni di Medicina Interna e Scienze Endocrine e Metaboliche (Direttore Prof. Fausto Santeusanio), con sede a Perugia, e di Clinica Medica (Direttore Prof. Adolfo Puxeddu), con sede a Terni, rappresenta il principale polo endocrinologico della regione.
La regione Umbria ha goduto da sempre di una completa autonomia nella diagnostica e nel trattamento chirurgico dei carcinomi tiroidei e negli anni si è arricchita di ottime equipe endocrinologiche, medico-nucleari, cito-istopatologiche e chirurgiche dedicate. Sono invece ad oggi assenti strutture per la somministrazione di terapie radioablative, il secondo cardine terapeutico, dopo la chirurgia, per il trattamento dei carcinomi tiroidei di origine follicolare, e sporadica di conseguenza è stata fino a pochi anni or sono l’erogazione di servizi rivolti al follow-up di pazienti affetti dalla malattia. Nel tempo tutto questo ha determinato un importante flusso dei pazienti riconosciuti affetti da carcinoma tiroideo verso strutture sanitarie extra-regionali caratterizzate da team medici e strutture dedicate alla gestione post-chirurgica della malattia.
Da alcuni anni però, presso il Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Perugia, nelle sue due sezione di Perugia e Terni con interesse endocrinologico, sono stati istituiti dei gruppi di lavoro per la diagnosi e cura dei carcinomi tiroidei, rivolti anche alla gestione post-chirugica dei malati, con il sostegno di due Servizi di Medicina Nucleare extraregionali (uno all’Ospedale Sant’Eugenio di Roma e uno all’Ospedale di Macerata) per la somministrazione delle terapie radioablative. Ad oggi sono stati seguiti attivamente oltre 150 pazienti.

 

FINALITA’, COMPOSIZIONE E OBIETTIVI DI LAVORO DEL GRUPPO

Dai dati riportati nella sezione introduttiva appare chiaro che 1 paziente affetto da carcinoma tiroideo ogni 3-4 presenta un decorso clinico dopo il trattamento iniziale gravato dal rischio di morbilità aggiuntiva o addirittura da mortalità. Sono questi i pazienti che si dovrebbero poter selezionare precocemente e su cui si dovrebbero concentrare maggiormente gli sforzi diagnostici e terapeutici, nella prima fase di trattamento e quindi nel follow-up, con la finalità di debellare il più precocemente possibile eventuali focolai di malattia persistente o recidiva e di migliorarne la qualità di vita e la sopravvivenza. E’ ben noto infatti che carcinomi tiroidei estesamente invasivi non passibili più di terapia chirurgica radicale o caratterizzati dalla perdita di differenziazione con abolizione della capacità di captare e concentrare lo iodio radioattivo (spesso peraltro le 2 condizioni coincidono) sono estremamente resistenti a qualsiasi forma di trattamento alternativo (vedi chemioterapia e radioterapia) e generalmente progrediscono seppur lentamente in modo inesorabile fino a portare a morte il paziente. Come già detto diversi elementi clinici individuabili al momento della diagnosi (Età < a 16 anni e > a 45 anni; varianti istologiche particolari come il carcinoma papillare a cellule alte, a cellule colonnari, a sclerosi diffusa, il carcinoma follicolare ampiamente invasivo, poco differenziato, a cellule di Huerthle, la presenza di aree completamente indifferenziate (carcinoma analastico), il carcinoma midollare; l’estensione significativa del tumore (diametro ³ 4 cm, estensione extra-capsulare, metastasi linfonodali multiple); presenza di metastasi a distanza; incompleta asportazione del tumore; recidiva nella loggia tiroidea o nei tessuti molli del collo) permettono di stratificare i pazienti in base al rischio di recidiva e mortalità. E’ peraltro prevedibile che presto gli studi di genetica e di espressione genica in corso su questi tumori portino alla individuazione di markers molecolari in grado di rinforzare la stratificazione prognostica clinica. Una volta selezionati i pazienti a rischio più elevato essi devono essere indirizzati a percorsi di terapia e follow-up il più efficienti possibili che necessitano della azione integrata dell’endocrinologo-oncologo, che dovrebbe fungere da coordinatore di quest’azione, con l’apporto, a seconda delle necessità del caso, del chirurgo, del medico nucleare, dell’oncologo medico, del radioterapista, del radiologo, dell’ortopedico. Fondamentale è inoltre il contributo dell’anatomo-patologo la cui opera diagnostica ha un peso importante nell’orientare sia al momento della diagnosi iniziale che successivamente la gestione clinica del paziente.
Alla luce di ciò, è essenziale, a nostro avviso, trovare delle modalità di integrazione di tutte queste figure sanitarie, con la possibilità di formulare percorsi diagnostico-terapeutici collegiali e di scambiare costantemente opinioni ed esperienze, strumento essenziale per il miglioramento delle conoscenze e per il miglioramento dell’efficienza dell’azione diagnostico-terapeutica stessa, soprattutto in presenza di malattie rare per cui non sono disponibili, a causa della mancata possibilità di eseguire idonei studi controllati, protocolli diagnostico-terapeutici consolidati. Questo tipo di approccio potrebbe stimolare inoltre il naturale sviluppo di strategie terapeutiche innovative e sicuramente spronare il progresso della ricerca sia clinica che di base in questo campo. E’ infine prevedibile che tutto questo possa tradursi realmente nell’auspicato miglioramento della qualità di vita e della sopravvivenza dei pazienti affetti da forme di carcinoma tiroideo più avanzate ed aggressive.
Per tutte queste ragioni viene proposta la creazione di un gruppo interdisciplinare regionale per la gestione dei pazienti affetti da neoplasie tiroidee.

Il gruppo di lavoro interdisciplinare dovrebbe avere al suo interno, come già detto, rappresentanti delle diverse istituzioni sanitarie regionali delle seguenti discipline: 1) Endocrinologia, 2) Endocrino-Chirurgia, 3) Medicina Nucleare, 4) Anatomia Patologica, 5) Oncologia, 6) Radioterapia, 7) Radiologia, 8) Ortopedia

Programma di lavoro

 

            Obiettivi a breve termine

  • Stesura di linee guida regionali per la gestione dei pazienti affetti da carcinoma tiroideo

Programmazione di un “expert meeting regionale” caratterizzato dalla presentazione da parte di diversi relatori dello stato dell’arte in merito alla diagnostica, cura e follow-up dei carcinomi tiroidei, con ampi spazi riservati alla discussione. Successivamente verranno stilate delle nuove linee guida da introdurre a livello regionale.

  • Creazione di un Database regionale relativo ai pazienti affetti da carcinoma tiroideo con raccolta di tutti i dati inerenti l’anagrafica, la diagnosi istologica, la terapia iniziale ed il follow-up.

Tutti i partecipanti al gruppo che seguono pazienti affetti da carcinomi tiroidei o che sono a conoscenza di casi in residenti della regione si dovrebbero impegnare a raccogliere dati clinici quanto più accurati possibili ed inviarli con le modalità che verranno definite.

  • Programmazione di incontri mensili per la discussione dei casi e per la definizione collegiale di percorsi diagnostico-terapeutici integrati per i singoli pazienti

Incontri mensili del gruppo  potrebbero essere programmati presso la sede del Centro di Riferimento Regionale per l’Oncologia (c/o Oncologia Medica, Ospedale Monteluce, Perugia).

Obiettivi a medio termine

  • Programmazione di incontri annuali per la revisione delle diverse problematiche diagnostiche e terapeutiche con eventuale riformulazione di uno o più aspetti delle linee guida
  • Sviluppo di protocolli di studio relativi alla diagnostica e al trattamento della malattia
  • Sviluppo di un’opera persuasiva sulle istituzioni sanitarie regionali ed eventualmente sulle amministrazioni aziendali ospedaliere per l’apertura nella regione Umbria di almeno 4 camere protette dedicate alla somministrazioni di terapie radioisotopiche ad alto dosaggio
  • Creazione di 2 poli regionali integrati di alta specialità per la diagnostica e cura dei carcinomi tiroidei, nel contesto di una rete regionale comprensiva di tutti gli aspetti della patologia neoplastica della tiroide.
  • Elaborazione di un sistema di valutazione dei risultati ottenuti attraverso la rilevazione di indicatori validati.